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      – Non è certo l'aspetto della ricchezza, – mormorò per registrare i suoi rilievi a viva voce. La scala doveva essere stata fatta molto in fretta, le pietre mal squadrate, la ringhiera di ferro grezzo, i muri bianchi di calce, niente di sudicio ma tutto povero.
      Venne ad aprirgli una ragazzina, decenne forse, con un ragnatelo di vestito goffo e lungo, bionda come Angiolina, ma gli occhi smorti, la faccia giallastra, anemica. Non parve per nulla sorpresa al vedere un volto nuovo; soltanto sollevò e fermò con la mano al petto i lembi del giacchettino privo di bottoni. – Buon giorno! Ella desidera? – Aveva una cortesia cerimoniosa fuori di posto nella personcina puerile.
      – C'è la signorina Angiolina?
      – Angiolina! – chiamò una donna che nel frattempo s'era avanzata dal fondo del corridoio. – Un signore domanda di te. – Quella probabilmente era la dolce madre cui Angiolina aveva anelato di ritornare allorché era stata abbandonata dal Merighi. La vecchia vestiva da serva, in colori vivaci per quanto un po' stinti, il grande grembiale turchino, e turchino il fazzoletto che portava in testa alla friulana. Del resto il volto conservava qualche traccia di bellezza passata; anzi il profilo ricordava quello d'Angiolina, ma la faccia ossuta e immobile con degli occhietti neri pieni d'inquietudine aveva qualche cosa della bestia attenta per sfuggire alle legnate. – Angiolina! chiamò ancora una volta. – Viene subito – avvertì con grande cortesia. Poi, senza guardarlo mai in faccia, disse più volte: – S'accomodi intanto.


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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258

   





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