– Ci vado molto volentieri, perché là passo le giornate meglio che non in casa mia. – Emilio non ebbe niente da ridirci, e si rassegnò anche a vederla, di sera, meno spesso. Ella ritornava tardi dal lavoro e non valeva più la pena di trovarsi.
Perciò egli ebbe ora delle sere che poté dedicare all'amico e alla sorella. Ancora sempre egli tentava d'ingannarli – come ingannava se stesso – sull'importanza della sua avventura, ed era persino capace di voler far credere al Balli d'essere lieto che Angiolina qualche sera fosse occupata per non averla, dopo tutto, vicina ogni giorno. Il Balli lo faceva arrossire guardandolo con occhio scrutatore, ed Emilio, non sapendo dove celare la sua passione, derideva Angiolina, riferiva certe osservazioni esatte che andava facendo su lei e che veramente non attenuavano affatto la sua tenerezza. Ne rideva con sufficiente disinvoltura, ma il Balli, che lo conosceva e che nelle sue parole sentiva un suono falso, lo lasciava ridere solo.
Ella toscaneggiava con affettazione e ne risultava un accento piuttosto inglese che toscano. – Prima o poi – diceva Emilio, – le leverò tale difetto che m'infastidisce. – Ella portava la testina eternamente inclinata sulla spalla destra. – Segno di vanità, secondo il Gall – osservava Emilio, e con la serietà di uno scienziato che fa degli esperimenti, aggiungeva: – Chissà che le osservazioni del Gall non sieno meno errate di quanto generalmente si creda? – Era golosa, amava di mangiare molto e bene; poveretto colui che se la sarebbe addossata!
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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258 |
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