Ma ella non conosceva le sue esitazioni. Per la prima volta si lagnò della propria famiglia. I fratelli non lavoravano, il padre era malato; come si faceva ad andare avanti? E non era lieta casa sua, ch'egli aveva vista alla luce del sole quando non c'erano gli uomini. Non appena venuti si bisticciavano fra di loro e con la madre e le sorelle. Certo, il sarto Volpini, quarantenne, non era il marito che s'era augurato, ma era a modo, buono, dolce, ed ella, col tempo, forse gli avrebbe voluto bene. Di meglio non avrebbe potuto trovare: – Tu, certo, mi vuoi bene, nevvero? Eppure non ammetti la possibilità di sposarmi. – Egli si commosse al sentirla parlare senz'alcun risentimento del suo egoismo.
Infatti. Forse ella faceva un buon affare. Con la consueta debolezza, non potendo convincere lei, per andare d'accordo egli procurò di convincere se stesso.
Ella raccontò. Aveva conosciuto il Volpini dalla signora Deluigi. Era un omino. – Mi arriva qui, – e accennò ridendo alla spalla. – Uomo allegro. Dice d'essere piccolo ma pieno di un grande amore. – Forse sospettando – oh, quale torto gli faceva, – ch'Emilio potesse venir morso dalla gelosia, s'affrettò ad aggiungere: – Brutto assai. Ha la faccia piena di peli del colore della paglia secca. La barba gli arriva agli occhi, anzi agli occhiali. – La sartoria del Volpini si trovava a Fiume, ma egli aveva detto che, dopo il matrimonio, le avrebbe permesso di venir a passare ogni settimana un giorno a Trieste e intanto, poiché la maggior parte del tempo egli era assente, essi avrebbero potuto continuare a vedersi tranquillamente.
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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258 |
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