L'occhio di Angiolina si ravvivò ed Emilio si volse a guardare il fortunato mortale ch'era già passato. L'impiegatuccio s'era fermato a guardarli. – S'è fermato a guardarmi, eh? – chiese essa sorridendo lieta.
– Perché te ne compiaci? – chiese egli con tristezza. Ella non lo comprese neppure. Poi, con astuzia, volle fargli credere ch'ella di proposito cercasse di renderlo geloso, e, infine, per quietarlo, spudoratamente, alla luce del sole fece con le labbra rosse una smorfia che voleva rappresentare un bacio. Oh, ella non sapeva fingere. La donna ch'egli amava, Ange, era sua invenzione, se l'era creata lui con uno sforzo voluto; essa non aveva collaborato a questa creazione, non l'aveva neppure lasciato fare perché aveva resistito. Alla luce del giorno il sogno scompariva.
– Troppa luce! – mormorò egli abbacinato. – Andiamo all'ombra.
Essa lo guardò con curiosità vedendogli il viso sconvolto: – Il sole a te fa male? Mi dicono infatti che ci sono delle persone che non lo possono sopportare. – Come ella aveva torto d'amare il sole.
Al momento di separarsi, egli le chiese: – E se Volpini risapesse di questa nostra passeggiata traverso la città?
– Chi gliel'avrebbe a dire? – disse essa con grande calma Gli direi che tu sei un fratello o un cugino della Deluigi. Egli non conosce nessuno a Trieste, ed è quindi facile fargli credere ciò che si vuole.
Quando si separarono, egli volle ancora analizzare le proprie impressioni e camminò solo, senza direzione. Un lampo d'energia rese il suo pensiero rapido e intenso.
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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258 |
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