Infatti mantenne la parola. Sarebbe stato difficile dire perché egli ogni giorno facesse quelle scale per andare a prendere il caffè dai Brentani. Era gelosia, probabilmente; egli lottava per conservarsi l'amicizia d'Emilio. Ma Amalia non poteva indovinare tutto ciò. Ella riteneva ch'egli venisse più spesso da loro per il più semplice affetto per il fratello, affetto di cui ella stessa godeva perché una parte riverberava su di lei.
Tra fratello e sorella non vi furono più diverbi. Emilio – e cieco com'era non ne ebbe alcuna sorpresa, – sentì che la sorella lo sopportava, lo comprendeva meglio; anzi sentì che la novella benevolenza si estendeva persino al suo amore. Quando egli le parlava di questo, il volto di Amalia si rischiarava, luceva. Ella cercava di farlo parlare d'amore, e non gli diceva mai ch'egli si guardasse o che dovesse lasciare Angiolina. Perché avrebbe dovuto lasciare Angiolina visto ch'ella era la felicità? Un giorno domandò di conoscerla, e più volte ne espresse poi il desiderio; ma Emilio si guardò bene dal compiacerla. Ella non sapeva di quella donna se non ch'era un essere molto differente da lei, più forte, più vitale, e ad Emilio piacque di aver creata nella sua mente un'Angiolina ben diversa dalla reale. Quando si trovava con la sorella, amava quell'immagine, l'abbelliva, vi aggiungeva tutte le qualità che gli sarebbe piaciuto di trovare in Angiolina, e quando capì che anche Amalia collaborava a quella costruzione artificiale, ne gioì vivamente.
Sentendo parlare di una donna che, per appartenere ad un uomo che amava, aveva vinti tutti gli ostacoli, pregiudizi di casta e d'interessi, ella disse in un orecchio ad Emilio: – Somiglia ad Angiolina.
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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258 |
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