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      Non sarebbe occorso deriderlo. – Io mi sarei ritirato subito. Non mi occorreva di esser cacciato dal mio posto da un ombrellaio. Ripeté più volte questa frase, modificandone qualche parola e cercando di perfezionare anche il suono della voce che diveniva sempre più ironico e tagliente. Cessò quando s'accorse che, per lo sforzo di trovare l'espressione, urlava.
      Per evitare la densa fanghiglia nel centro della via, si trasse da parte, sulla ghiaia, ma sul suolo poco livellato fece un passo falso, e per salvarsi dalla caduta si contuse le mani sulla grezza muraglia. Il dolore fisico lo agitò, aumentò il suo desiderio di vendetta. Si sentiva più deriso che mai, come se quella sua caduta fosse stata una nuova colpa di Angiolina. In lontananza, di nuovo, gli parve di vederla muoversi. Un riflesso, un'ombra, un movimento, tutto assumeva la forma, l'espressione del fantasma che lo fuggiva. Egli si mise a correre per raggiungerla, non calmo e preparato all'ironia come sull'erta di via Romagna, ma con la ferma intenzione di trattarla brutalmente. Per fortuna non era dessa e allo sciagurato parve che tutta la violenza cui era stato in procinto di abbandonarsi, fosse ora diretta contro se stesso, gli chiudesse il respiro e gli togliesse ogni possibilità di pensare e di frenarsi. Si morse una mano come un forsennato.
      Si trovò alla mèta della lunga corsa. La casa di Angiolina grande e solitaria, una caserma, la facciata bianca illuminata dalla luna, era tutta chiusa, avvolta nel silenzio; sembrava abbandonata.


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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258

   





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