Era già scorso parecchio tempo dacché egli aveva parlato col Sorniani, e il tumulto che le parole di costui avevano suscitato nel suo petto non s'era ancora quietato.
Forse ella avrebbe fatto qualche tentativo per riavvicinarsi a lui. La dignità non gli avrebbe impedito allora d'accoglierla a braccia aperte. Ma non come una volta. Sarebbe corso immediatamente alla verità, cioè al possesso. Giù la finzione! – Io so che tu fosti l'amante di tutti costoro, – le avrebbe gridato – e ti amo lo stesso. Sii mia e dimmi la verità acciocché io non abbia altri dubbi. – La verità? Anche sognando la più rude franchezza egli idealizzava Angiolina. La verità? Poteva essa dirla, sapeva dirla? Se il Sorniani aveva detto anche soltanto una parte del vero, la menzogna doveva essere tanto connaturata in quella donna, ch'ella non se ne sarebbe liberata mai. Egli dimenticava quanto in altri momenti aveva percepito tanto chiaramente, cioè il fatto ch'egli aveva stranamente collaborato a vedere in Angiolina ciò ch'ella non era, ch'era stato lui a creare la menzogna.
– Come non ho riconosciuto – andava dicendosi – che l'unica ragione di ridicolo era la menzogna! Sapendo tutto, dicendoglielo in faccia, spariva il ridicolo. Ognuno può amare chi gli pare e piace. – Gli pareva di dire tutto questo al Balli.
Il vento era cessato del tutto, e la giornata aveva assunto un vero aspetto primaverile. In altro stato d'animo una giornata simile di libertà sarebbe stata una gioia per lui; ma era libertà quella per cui non gli era concesso di andare da Angiolina?
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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258 |
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