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      Egli però non ebbe alcun dubbio di essersi ingannato. – No rispose e non ebbe il coraggio di dire altro. Un'intensa compassione lo prese al pensare che a quella debole personcina sovrastava, tanto imminente e senza ch'ella ne dubitasse, un dolore simile a quello che pativa lui. Era lui stesso che stava per picchiarla. Il colpo era già partito dalla sua mano, ma stava ancora sospeso in aria e fra poco si sarebbe abbattuto su quella testina grigia a piegarla, e la faccia mite avrebbe perduta quella serenità dimostrata chissà con quale eroico sforzo. Egli avrebbe voluto prendere la sorella fra le braccia e incominciare a consolarla prima che fosse arrivato a lei il dolore. Ma non poteva. Senza arrossire non poteva dire in presenza sua neppure il nome dell'amico. Tra fratello e sorella c'era oramai una barriera: la colpa di Emilio. Egli non se ne accorgeva, e si riprometteva di poter arrivare alla sorella quando, certo, ella avrebbe cercato intorno a sé qualche appoggio. Allora egli non avrebbe avuto da far altro che aprire le proprie braccia. Ne era sicuro. Amalia era fatta come lui che quando soffriva s'appoggiava su tutte le persone che gli stavano accanto. Perciò egli lasciava ch'ella aspettasse il Balli.
      Doveva essere un'aspettativa che Emilio non avrebbe sopportata; ci volle certo un grande eroismo per non chiedere nulla, all'infuori della solita domanda: – Il Balli non verrà? – C'era un bicchiere di più sulla tavola, preparato pel Balli; veniva riposto lentamente in un cantuccio dell'armadio che ad Amalia serviva di dispensa.


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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258

   





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