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      Parḷ della sua leggerezza, della sua vanità, di tutto cị che costituiva la propria sventura, ed Amalia stette a sentirlo silenziosa e senza tradire la minima meraviglia. Emilio penṣ ch'ella studiasse il suo amore per scoprirvi delle analogie col proprio.
      Avevano passato in tal modo un quarto d'ora delizioso. Pareva che tutto quanto li aveva divisi fosse sparito o anzi venisse ad unirli, tant'è vero ch'egli aveva parlato d'Angiolina non per il bisogno di sollevarsi dal peso d'amore e di desiderio che fino a quell'ora lo aveva fatto ciarlare tanto, ma unicamente per far piacere alla sorella. Per Amalia provava una grande tenerezza; gli pareva che, ascoltandolo, ella gli avesse dato formalmente il suo perdono.
      Fu questa tenerezza che lo condusse a dire delle parole che fecero terminare in tutt'altro modo quella serata. Aveva finito di raccontare e, senza alcuna esitazione, chiese: – E tu? – Non aveva esitato e non aveva neppure riflettuto. Dopo aver resistito per tanti giorni al desiderio di chiedere alla sorella delle confidenze, in quell'ora d'abbandono vi cedette. Avendo provato un tale sollievo di fare lui delle confidenze, gli pareva troppo naturale d'indurre anche Amalia a confidarsi nello stesso modo.
      Ma Amalia non l'intendeva coś. Lo guarḍ con gli occhi sbarrati da un grande terrore: – Io? Non ti capisco! – Se anche veramente non avesse capito, avrebbe potuto indovinare tutto dall'imbarazzo in cui egli fu gettato al vederla tanto sconvolta. – Tu sei pazzo, mi pare. – Aveva capito, ma evidentemente non sapeva ancora spiegarsi come Emilio fosse riuscito a indovinare il segreto tanto gelosamente custodito.


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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258

   





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