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      Piccola e debole, ella era stata abbattuta; chi avrebbe potuto pretendere ch'ella reagisse? Mai non s'era sentita tanto mite, liberata da ogni ira, e disposta a piangere lungamente, senza singhiozzi. Non poteva farlo e questo mancava al sollievo. Ella aveva avuto torto asserendo di non comprendere quella musica. La magnifica onda sonora rappresentava il destino di tutti. La vedeva correre giù per una china guidata dall'ineguale conformazione del suolo. Ora una sola cascata, ora divisa in mille più piccole, colorite tutte dalla più varia luce e dal riflesso delle cose. Un accordo di colori e di suoni in cui giaceva l'epico destino di Sieglinda, ma anche, per quanto misero, il suo, la fine di una parte di vita, l'inaridirsi di un virgulto. E il suo non domandava più lagrime di quello degli altri, ma le stesse, e il ridicolo che l'aveva oppressa non trovava posto in quell'espressione che pure era tanto completa.
      L'altro conosceva intimamente la genesi di quei suoni, ma non riusciva ad avvicinarvisi tanto quanto Amalia. Egli credeva che il suo amore e il suo dolore si sarebbero presto trasvestiti nel pensiero del genio. No. Per lui si movevano sulla scena eroi e dei, e lo trascinavano con sé lontano dal mondo ove aveva sofferto. Negl'intervalli egli cercava invano nel ricordo qualche accento che avesse meritato un travestimento simile. L'arte forse lo guariva?
      Quando, a spettacolo finito, abbandonò il teatro, era tanto animato da quella speranza che non vide che la sorella era più abbattuta del solito.


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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258

   





Sieglinda Amalia