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      Ci era ricaduto ed era molto simile a quello provato prima dell'incidente dell'ombrellaio e prima del possesso. La gioventù ritornava! Egli non anelava più di uccidere ma si sarebbe voluto annientare dalla vergogna e dal dolore.
      All'antico dolore s'era aggiunto un peso sulla coscienza, il rimorso d'essersi legato di più a quella donna, e la paura di vederne compromessa vieppiù la propria vita. Infatti, come avrebbe potuto spiegare la tenacità con cui ella addossava a lui la colpa della relazione col Volpini, se non col proposito d'attaccarglisi, comprometterlo, succhiargli lo scarso sangue che aveva nelle vene? Egli era legato per sempre ad Angiolina da una strana anomalia del proprio cuore, dai sensi – nel letto solitario il desiderio era rinato – e dalla stessa indignazione ch'egli attribuiva all'odio.
      Quell'indignazione era la madre dei più dolci sogni. Verso mattina il suo profondo turbamento s'era mitigato nella commozione per il proprio destino. Non s'addormentò, ma cadde in uno stato singolare d'abbattimento che gli tolse la nozione del tempo e del luogo. Gli parve d'essere ammalato, gravemente, senza rimedio, e che Angiolina fosse accorsa a curarlo. Le vedeva la compostezza e la serietà della buona infermiera dolce e disinteressata. La sentiva muoversi nella camera, ed ogni qualvolta ella gli si avvicinava, gli apportava refrigerio, toccandogli con la mano fresca la fronte scottante, oppure baciandolo, con lievi baci che non volevano essere percepiti, sugli occhi o sulla fronte.


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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258

   





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