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      – Oh, Volpini non può più fare a meno di me – disse ella sorridendo. Per il momento anche Emilio si tranquillò e gli parve che quella garanzia fosse sufficiente. Egli stesso, tanto più giovane del Volpini, non poteva fare a meno di Angiolina.
      Durante il secondo appuntamento l'osservatore non s'assopì in lui un solo instante. N'ebbe il premio in una scoperta dolorosissima: nel tempo in cui egli con tanto sforzo s'era tenuto lontano da Angiolina, qualcuno doveva aver occupato il suo posto. Un altro, che non doveva somigliare ad alcuno degli uomini che egli conosceva e temeva. Non Leardi, non Giustini, non Datti. Doveva essere stato costui a prestarle degli accenti nuovi, bruschi, non manchevoli di spirito, e dei giuochi di parola grossolani. Doveva essere uno studente, perché ella maneggiava con grande disinvoltura alcune parole latine volte a senso turpe. Rispuntò quel disgraziato Merighi, il quale certamente non poteva sospettare che si continuasse ad abusare di lui; era stato lui ad insegnarle anche quelle parole latine. Come se ella fosse stata capace di sapere di latino senza farne pompa per tanto tempo! Invece chi le aveva insegnato il latino doveva essere il medesimo che le aveva apprese anche delle canzonette veneziane liberissime. Cantandole ella stonava, ma anche per saperle così doveva averle udite parecchie volte, tant'è vero che non avrebbe saputo rifare una sola nota delle canzonette udite più volte dal Balli. Doveva essere un veneziano perché ella si compiaceva spesso d'imitare la pronunzia veneziana che prima, probabilmente, aveva ignorata.


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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258

   





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