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      Non v'era però la possibilità di rintracciare i motivi per cui egli era tanto indissolubilmente legato ad Angiolina. Qualunque altro piccolo dolore che gli fosse toccato nella sua vita insignificante, divisa fra casa e ufficio, s'annullava facilmente accanto a lei. Di tutti i dolori ch'ella gli dava, il maggiore era quello di non farsi trovare, quando egli aveva bisogno di starle accanto. Spesso, cacciato fuori della propria casa dalla triste faccia della sorella, correva dagli Zarri quantunque sapesse che Angiolina non amava di vederlo tanto spesso in quella casa ch'ella tanto energicamente difendeva dal disonore. Ben di rado ve la trovava, e la madre con grande gentilezza lo invitava ad attenderla perché Angiolina doveva venir subito. Era stata chiamata cinque minuti prima da certe signore che abitavano lì accanto – un gesto vago accennava a levante o a ponente – per provare un vestito.
      L'attesa gli era indicibilmente dolorosa, ma rimaneva incantato per delle ore a scrutare la dura faccia della vecchia, perché sapeva che rincasando senza aver vista l'amante, non si sarebbe quietato più. Una sera, spazientito, sebbene la madre, cortese come sempre, volesse trattenerlo, finì coll'andarsene. Sulle scale gli passò accanto una donna, apparentemente una fantesca, la testa coperta da una pezzuola con la quale si celava anche parte della faccia. Egli le diede il passo, ma, quando ella volle sgattaiolare oltre, la riconobbe, insospettito prima dall'intenzione ch'ella manifestava di sfuggirgli, poi dalle movenze e alla statura.


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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258

   





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