Era Angiolina. Al ritrovarla egli si sentì subito meglio e non badò al fatto ch'ella parlando di quelle vicine che l'avevano chiamata, segnasse tutt'altra direzione di quella indicata dalla madre, e neppure a quello, sorprendente, ch'ella non gli tenesse rancore perché una volta di più egli fosse venuto in casa sua a comprometterla. Quella sera fu dolce, buona, come se avesse avuto da farsi perdonare qualche colpa, ma lui, in quella dolcezza di cui si beava, non seppe sospettare una colpa.
La sospettò soltanto allorché ella venne vestita a quel modo anche agli appuntamenti con lui. Ella dichiarò che rincasando sul tardi dopo essere stata con lui, era stata vista da conoscenti e aveva paura d'essere colta proprio nell'istante in cui usciva da quella casa, che non godeva della migliore fama; perciò si mascherava a quel modo. Oh, ingenuità! Ella non s'accorgeva di confessargli con quella chiacchierata che anche quella sera in cui egli l'aveva trovata sulle scale di casa sua, aveva avuti dei buoni motivi per travestirsi.
Una sera ella arrivò al loro ritrovo con più di un'ora di ritardo. Acciocché ella non avesse bisogno di bussare rischiando l'attenzione degli altri inquilini, egli soleva attenderla sulle scale, tortuose e sucide, poggiato alla ringhiera e persino piegato per scorgere il punto più lontano ove ella doveva apparire. Quando vedeva venire qualche estraneo, si rifugiava nella stanza e per tale moto continuo la sua agitazione aumentava enormemente. Del resto gli sarebbe stato impossibile di rimaner fermo.
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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258 |
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Angiolina
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