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      – Quando avrò delle esitazioni per cui mi toccherà arrestarmi, ti prometto che non si ciarlerà che di te; scommetto che finirà coll'amarti di cuore
      – Tutt'al più, e non sarà male, parlandole di me l'annoierai tanto, che non amerà neppur te.
      Per quei due giorni egli non poté vedere Angiolina e perciò si trovò con lei soltanto il pomeriggio della domenica, nello studio del Balli. Li trovò in pieno lavoro.
      Lo studio non era altro che un vasto magazzino Gli era stata lasciata tutta la ruvidezza della sua antica destinazione perché il Balli non lo voleva elegante. Il pavimento lastricato era rimasto sconnesso come quando ci venivano deposte le balle di merci; soltanto nel mezzo, d'inverno, un grande tappeto salvava i piedi dello scultore dal contatto del suolo. Le pareti erano rozzamente imbiancate e qua e là, su dei sostegni, riposavano delle figurine di argilla o di gesso, non certo per esservi ammirate, ché erano accatastate piuttosto che aggruppate. Le comodità non v'erano però trascurate. La temperatura v'era resa mite da una stufa piramidale. Una grande quantità di sedie e poltrone di varia forma e grandezza toglievano allo studio, con le loro forme eleganti, il suo carattere di magazzino. Erano differenti l'una dall'altra perché il Balli diceva di aver sempre bisogno di riposare in conformità al sogno che gli occupava la mente. Anzi trovava sempre che gli mancavano ancora delle forme di sedie di cui sentiva talvolta d'aver bisogno. Angiolina posava su un trespolo munito di soffici cuscini bianchi; in piedi, su una sedia accanto ad un altro trespolo girevole, il Balli lavorava alla sua figura appena abbozzata.


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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258

   





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