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      Ella lo guardò sorpresa senza comprenderlo. Non si sarebbe potuta comportare più semplicemente di così.
      Amalia riprese a parlare, senza scuotersi, senza chiamare, come se avesse creduto di aver sempre detto ad alta voce tutto il suo sogno. Di certe frasi diceva il principio, di altre la fine; borbottava delle parole incomprensibili, altre le sillabava chiare. Esclamava e domandava. Domandava con ansietà, mai soddisfatta della risposta, che forse non intendeva a pieno. Alla signora Elena, che s'era piegata su lei, per indovinare meglio un desiderio che pareva volesse manifestare: – Ma tu non sei Vittoria? – chiese. – Io, no – disse la signora sorpresa. Questa risposta fu compresa e bastò per qualche tempo a quietare l'ammalata.
      Poco dopo tossì. Lottò per non tossire più e la sua faccia prese un aspetto di desolazione puerile; doveva aver sentito un forte dolore. La signora Elena fece osservare ad Emilio quell'espressione che durante la sua assenza s'era già prodotta. – Bisognerà parlarne al dottore; si capisce da quella tosse che la signorina deve essere ammalata di petto. – Amalia ebbe più scoppi di tosse fievole, soffocata. – Non ne posso più – gemette e pianse.
      Ma il pianto le bagnava ancora le guance ed ella aveva già dimenticato il dolore. Affannosamente riparlò della sua casa. C'era un nuovo ritrovato per fare a buon prezzo il caffè. – Fanno di tutto oramai. Presto si potrà vivere senza denaro. Mi dia un po' di quel caffè, per provare. Io glielo restituirò. A me piace la giustizia.


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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258

   





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