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      Il peggior sintomo che il Carini osservasse in Amalia, non era la febbre né la tosse; era la forma del delirio, quel chiacchierio agitato e continuo. Aggiunse a bassa voce: – Non sembra un organismo adatto a sopportare delle temperature elevate.
      Si fece dare l'occorrente per scrivere, ma, prima di fare la ricetta, disse: – Per combattere la sete le darei del vino con dell'acqua di selz. Ogni due o tre ore le permetterei di prendere un bicchiere di vino generoso. Già – fece esitante – la signorina dev'essere abituata al vino. – Con due tratti risoluti di penna scrisse la ricetta.
      – Amalia non è abituata al vino – protestò Emilio. – Anzi non lo può soffrire; non sono stato mai capace d'indurla ad abituarvisi.
      Il dottore fece un gesto di sorpresa e guardò Emilio come se non avesse potuto credere che gli fosse detta la verità. Anche il Balli guardò Emilio con occhio scrutatore. Egli aveva già capito che il dottore aveva concluso dai sintomi presentati dalla malattia di Amalia di aver a fare con un'alcoolizzata, e ricordava d'aver osservato ch'Emilio era capace dei pudori più falsi. Voleva indurlo a dire la verità che il dottore doveva conoscere.
      Emilio indovinò il significato di quell'occhiata. – Come puoi credere una cosa simile? Ella, bere! Non sa neppure bere dell'acqua in abbondanza. Ci mette un'ora per un bicchiere d'acqua.
      – Se ella me lo assicura – disse il dottore – tanto meglio, perché un organismo, per quanto debole, può resistere alle temperature elevate, quando non è fiaccato dall'alcool.


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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258

   





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