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      Ella era ammalata prima di tutto, perché egli aveva mancato al dovere di proteggerla; ora invece egli era là per procurarle tutte le soddisfazioni, tutti i conforti, e questo il dottore l'ignorava. Andò al letto d'Amalia come se avesse voluto portarle soddisfazioni e conforti, ma là si sentì subito inerme. La baciò in fronte, e stette lungamente a guardarla affannarsi per conquistare un po' d'aria ai suoi poveri polmoni.
      Il Balli, ritornato, sedette in un cantuccio quanto più lontano poté dal letto di Amalia. Il dottore non aveva potuto che ripetergli quanto già aveva detto ad Emilio. La signora Elena chiese di poter andare per un istante nel suo quartierino, ove doveva dare qualche disposizione; avrebbe mandata lei la sua fantesca in farmacia. Uscì accompagnata da un'occhiata d'ammirazione del Balli. Non occorreva consegnarle dei denari, perché, per una vecchia abitudine, i Brentani avevano conto aperto in farmacia.
      Il Balli mormorò: – La bontà così semplice mi commuove più che non la genialità più alta.
      Emilio aveva preso il posto lasciato libero da Elena. Da parecchio tempo l'ammalata non diceva alcuna parola comprensibile; borbottava indistintamente quasi si fosse voluta esercitare a pronunciare delle parole difficili. Emilio poggiò la testa sulla mano e stette ad ascoltare quell'affanno sempre uguale, vertiginoso. Era dalla mattina che lo udiva, e gli pareva divenuto una qualità del proprio orecchio, un suono da cui non avrebbe saputo più liberarsi. Ricordò, che una sera, ad onta del freddo, s'era alzato in camicia dal letto per usare una gentilezza alla povera sorella, che egli aveva sentito soffrire accanto a lui: le aveva offerto di accompagnarla la sera appresso a teatro.


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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258

   





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