Ella stava facendo un sogno di gelosia. Continuò a parlare, ma meno chiaramente. Dal solo balbettio Emilio poté seguire il sogno che durò più di quelli che lo avevano preceduto. Le due persone create dal delirio s'erano avvicinate, e la povera Amalia diceva che aveva piacere di vederle e di vederle unite. – Chi dice che a me dispiaccia? A me fa piacere. – Poi seguì un periodo più lungo, in cui borbottò soltanto delle parole indistinte. Forse il sogno era già morto da tempo ed Emilio cercava ancora in quei suoni affannosi il dolore della gelosia.
La signora Elena s'era seduta di nuovo al suo solito posto al capezzale. Emilio andò a raggiungere il Balli che, appoggiato al davanzale, guardava sulla via. L'uragano che da qualche ora minacciava, continuava ad addensarsi. Sulla via non era caduta ancora una goccia d'acqua. Gli ultimi riflessi del tramonto ingialliti dall'aria torbida, mandavano al selciato e alle case dei riverberi che parevano d'incendio. Il Balli con gli occhi socchiusi guardava e gustava lo strano colore.
Di nuovo Emilio tentò d'attaccarsi ad Amalia, proteggendola, difendendola ad onta che persino nel delirio ella lo respingesse da sé. Chiese al Balli: – Hai osservato con quale smorfia di disgusto ha bevuto quel vino? Era quella forse la faccia di chi è abituato a bere?
Il Balli gli diede ragione, ma desideroso di difendere il Carini, disse col solito ingenuo modo di espressione: – Può essere però che la malattia le abbia alterato il palato.
Emilio, dall'ira, si sentì un nodo alla gola: – Tu credi ancora nelle parole di quell'imbecille
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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258 |
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