L'aria rigida della sera lo scosse, lo refrigerò fino in fondo all'anima. Lui usare delle violenze ad Angiolina! Perché era lei la causa della morte d'Amalia? Ma quella colpa non poteva esserle rimproverata. Oh, il male avveniva, non veniva commesso. Un essere intelligente non poteva essere violento perché non v'era posto a odii. Per l'antica abitudine di ripiegarsi su se stesso e analizzarsi, gli venne il sospetto che forse il suo stato d'animo era risultato dal bisogno di scusarsi e di assolversi. Ne sorrise come di cosa comicissima. Come erano stati colpevoli lui e Amalia di prendere la vita tanto sul serio! Alla riva, dopo di aver guardato l'orologio, si fermò. Qui il tempo appariva peggiore che non in città. Al sibilare del vento si univa imponente il clamore del mare, un urlo enorme composto dall'unione di varie voci più piccole. La notte era fonda; del mare non si vedeva che qua e là biancheggiare qualche onda che il caos aveva voluto infranta prima di giungere a terra. Sui battelli, alla riva, si era sull'attenti e si vedeva qualche figura di marinaio, in alto, su quegli alberi che facevano la solita varia danza nelle quattro direzioni, lavorare nella notte e nel pericolo.
Ad Emilio parve che quel tramestìo si confacesse al suo dolore. Vi attingeva ancora maggiore calma. L'abito letterario gli fece pensare il paragone fra quello spettacolo e quello della propria vita. Anche là, nel turbine, nelle onde di cui una trasmetteva all'altra il movimento che aveva tratto lei stessa dall'inerzia, un tentativo di sollevarsi che finiva in uno spostamento orizzontale, egli vedeva l'impassibilità del destino.
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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258 |
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Angiolina Amalia Amalia Emilio
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