Gli raccontarono che da qualche minuto Amalia parlava continuamente della sua malattia. Non poteva questo essere un indizio che la febbre fosse diminuita? Egli stette a udire, ben convinto che s'ingannavano. Infatti ella delirò: – Mia colpa se sto male? Torni domani, dottore, e starò bene. – Non sembrava ch'ella soffrisse; aveva la faccia piccola, misera, oramai proprio la faccia appropriata a quel corpo. Sempre guardandola egli pensò: – Ella morrà! – Se la figurò morta, quietata, priva d'affanno e di delirio. Ebbe dolore di aver avuta quell'idea poco affettuosa. S'allontanò un poco dal letto e s'assise al tavolo, ove s'era posto anche il Balli.
Elena rimase al letto. Alla scarsa luce della candela Emilio s'avvide ch'ella piangeva. – Mi pare di essere al letto di mio figlio – disse ella accorgendosi che le sue lagrime erano state viste.
Amalia improvvisamente disse di sentirsi molto ma molto bene e domandò di mangiare. Il tempo non correva normalmente a quel letto per chi seguiva, viveva quel delirio. Ella accusava ad ogni istante un altro stato d'animo, o nuove avventure, e faceva passare con lei i suoi infermieri per delle fasi di cui lo svolgimento nella vita solita dura giorni e mesi.
La signora Elena – ricordando una prescrizione del medico – le preparò e offerse del caffè, che fu preso con voluttà. Subito il delirio la ricondusse al Balli. Soltanto per un osservatore superficiale quel delirio mancava di nesso. Le idee si mescolavano, una si sommergeva nell'altra, ma quando riappariva risultava esser proprio quella ch'era stata abbandonata.
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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258 |
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