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      Lo disse senz'esitazione col tono del credente che non teme i dubbi altrui.
      Poi raccontò una storia strana, la propria: fino all'età di quarant'anni ella era vissuta senz'affetti avendo perduti, giovanissima, i genitori; senza affetti le erano trascorsi i giorni solitari e sereni. A quell'età s'era imbattuta in un vedovo, che la sposò per dare una madre al figlio e alla figlia che aveva di primo letto. Da bel principio i due fanciulli le fecero cipiglio ma ella nondimeno sentiva di voler loro tanto bene ch'era sicura di finire col farsene amare. Si ingannò. Essi la considerarono e l'odiarono sempre quale madrigna. V'erano i parenti della prima moglie che si frammettevano fra i fanciulli e la loro nuova madre e la facevano odiare loro con menzogne, e facendo loro credere che l'ombra della prima madre si sarebbe ingelosita del nuovo affetto. – Io invece m'affezionavo sempre più, tanto da amare la rivale che me li aveva dati. Forse – aggiunse con un'osservazione d'analista oggettiva – il disdegno che vestiva tanto bene i loro bei visini rosei me ne faceva innamorare maggiormente. – La fanciulla le fu tolta, poco dopo la morte del padre, da un parente che si ostinava a crederla maltrattata.
      Il fanciullo restò tutto per lei, ma anche quando i parenti non ci furono più per suggerirgli l'odio, egli, con un'ostinazione sorprendente nella mente giovanile, continuò a conservare per lei la stessa sdegnosa malevolenza che si palesava in dispetti e sgarbatezze. Ammalò di scarlattina maligna, ma anche nella febbre le resistette finché, estenuato, poche ore prima di morire, le gettò le braccia al collo, chiamandola mamma e pregandola di salvarlo.


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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258