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      I primi quattro o cinque respiri parvero di persona sana, e Emilio ed Elena si guardarono sorridendo e pieni di speranza. Ma ben presto quel sorriso morì sulle labbra, perché il respiro di Amalia andò accelerandosi, per appesantirsi poi e quindi cessare di nuovo. La sosta questa volta durò tanto ch'Emilio dallo spavento gridò. Il respiro riprese come prima, calmo per breve tempo, e poi subito affannoso vertiginosamente. Fu uno stadio dolorosissimo per Emilio. Per quanto, dopo un'ora d'intensa attenzione, egli si fosse potuto accertare che quella momentanea cessazione di respiro non era la morte e che la respirazione regolare che seguiva non preludiava alla salute, egli, dall'ansia, tratteneva anche lui il respiro quando cessava quello di Amalia, si abbandonava a sperare pazzamente quando sentiva riprendere quel respiro calmo e ritmico, e soffriva fino alle lagrime al disinganno di vederla ritornare all'affanno.
      L'alba illuminava oramai anche il letto. La nuca grigia della signora Elena che, accontentandosi di un riposo superficiale da buona infermiera, teneva reclinata la testa sul petto, appariva tutta d'argento. Per Amalia la notte non sarebbe cessata più. La testa spiccava ora coi contorni precisi sul guanciale. I capelli neri non avevano mai avuta tanta importanza su quella testa come durante la malattia. Pareva un profilo di persona energica, con gli zigomi sporgenti e il mento aguzzo.
      Emilio puntellò le braccia sul tavolo e poggiò la fronte sulle mani. L'ora in cui egli aveva maltrattata Angiolina gli pareva lontana lontana, perché di nuovo egli non si riteneva capace di un'azione simile; non trovava in sé l'energia né la brutalità che c'erano volute a compierla.


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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258

   





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