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      Chiuse gli occhi e s'addormentò. Gli parve poi d'aver sempre percepito anche nel sonno il respiro di Amalia e di aver continuato a risentirne come prima spavento, speranza e disinganno.
      Quando si destò era giorno fatto. Amalia con gli occhi spalancati guardava la finestra. Egli s'alzò e, sentendolo muoversi, ella lo guardò. Quale sguardo! Non più di febbre, ma di persona stanca a morte, che dell'occhio proprio non interamente disponga e le occorra sforzo e ricerca per guidarlo. – Ma che cosa ho, Emilio? Io muoio!
      L'intelligenza era ritornata ed egli, dimenticata l'osservazione fatta su quell'occhio, riebbe intera la speranza. Le disse ch'ella era stata molto male, ma che adesso – si capiva – risanava. L'affetto che si sentiva in cuore traboccò e si mise a piangere dalla consolazione. Baciandola gridò che da allora sarebbero vissuti insieme uniti, uno per l'altro. Gli pareva che tutta quella notte tormentosa non ci fosse stata che per prepararlo a tale inaspettata felice soluzione. Poi ricordò tale scena con vergogna. Pareva a lui stesso di aver voluto approfittare di quel solo lampo di intelligenza in Amalia per quetare la propria coscienza.
      La signora Elena accorse per calmarlo e ammonirlo di non agitare l'ammalata. Disgraziatamente Amalia non capiva. Pareva tanto fissa in un'idea unica da averne occupati tutti i sensi: – Dimmi – pregò – che cosa è accaduto? Ho tanta paura! Ho visto te e Vittoria e... – Il sogno s'era mescolato alla realtà; e la sua povera mente fiaccata non sapeva sciogliere la complicata matassa.


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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258

   





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