Andandosene salutò con rispetto sulla porta la serva, quella che aveva trovato il modo di salvare dalla disperazione un suo simile. – Strano – pensò, – sembrerebbe che metà dell'umanità esista per vivere e l'altra per essere vissuta. – Ritornò subito col pensiero al proprio caso concreto: – Angiolina esiste forse solo acciocché io viva.
Camminò tranquillo, rinato, nella notte fresca che era seguita alla giornata afosa. L'esempio della signora Elena gli aveva provato che anche lui poteva trovare ancora nella vita il suo pane quotidiano, la ragione d'essere. Questa speranza l'accompagnò per parecchio tempo; aveva dimenticato tutti gli elementi di cui si componeva la sua misera vita, e credeva che il giorno in cui avesse voluto, avrebbe potuto rinnovarla.
Le prime prove che fece fallirono. Aveva tentato di nuovo l'arte e non gliene era risultata alcuna commozione. Avvicinò delle donne e le trovò poco importanti. – Io amo Angiolina! Pensò.
Un giorno il Sorniani gli raccontò che Angiolina era fuggita col cassiere infedele di una Banca. Il fatto aveva destato scandalo in città.
Fu una sorpresa dolorosissima per lui. Si disse: – M'è fuggita la vita. – Invece, per qualche tempo, la fuga d'Angiolina lo ripose in piena vita, nel più vivace dei dolori e dei risentimenti. Sognò vendette e amore, come la prima volta in cui l'aveva abbandonata.
Andò dalla madre d'Angiolina, quando già questo risentimento s'era affievolito, come era andato da Elena quando il ricordo d'Amalia aveva minacciato d'attenuarsi.
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Senilità
di Italo Svevo (Ettore Schmitz)
pagine 258 |
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