Riponeva qualche lettera anche dopo data tutta la spiegazione osservando con una smorfia che c'era tempo per rispondere e che voleva farlo lui a suo tempo. Si capiva che gli seccava di abbandonare a Miceni tutta la sua gestione.
Miceni ritornò nella sua stanza col capo ritto, la figurina tesa, il passo rigido. Si sedette e con un sorriso sprezzante mormorò:
— Tante spiegazioni come se fossi da ieri alla banca.
Ripensandoci rammentò dei particolari del suo colloquio con Sanneo e ne rise:
— Vuoi scommettere che all'ultimo momento Sanneo si pente e rimane?
Il più vivo desiderio di Alfonso era di andarsene; non sapeva perciò ammettere che altri volesse rimanere.
Poco dopo venne Sanneo ad avvisare che differiva la partenza al giorno appresso. Miceni guardò Alfonso, e quando uscì Sanneo esclamò con ira:
— Valeva la pena di tenermi di là per un'ora a darmi delle istruzioni di cui non avevo bisogno!
— Saranno buone per domani! — rispose Alfonso che per affari d'ufficio non comprendeva l'ira.
— Domani partirà come è partito oggi.
Invece Sanneo partì. Alla sera andò in giro nei diversi uffici a salutare gl'impiegati. Porse la mano ad Alfonso che, balbettando, gli augurava il buon divertimento, e lo ringraziò con un sorriso veramente benevolo. Ad onta di quanto gli era stato detto, Alfonso credette di veder brillare in quegli occhi irrequieti la gioia per i quindici giorni di libertà.
Miceni occupò la stanza di Sanneo per essere alla mano dei direttori. Riceveva gli ordini direttamente dal signor Maller o dal signor Cellani e Alfonso gl'invidiava la disinvoltura con la quale trattava con tali alti personaggi.
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