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      In un'intiera giornata egli aveva da costruire uno o due periodi; aveva invece da copiare innumerevoli cifre, ripetere innumerevoli volte la medesima frase. Verso sera la mano, l'unica parte del suo corpo veramente stanca, si fermava, l'attenzione non stimolata si distraeva e qualche volta doveva gettare la penna e lasciare il lavoro, per una nausea da persona che ha preso di troppo di un solo cibo. Non era mai a giorno con i suoi lavori e al suo malessere si aggiungeva l'inquietudine.
      White gli aveva detto che tutte le lettere di pura scritturazione potevano venir trattenute parecchi giorni, anche settimane, senza risposta, e questa facoltà gli aveva alleggerito di molto il lavoro delle prime giornate: ben presto però, aumentando i sospesi, il lavoro ne venne complicato, perché molte lettere appena arrivate trovavano altre dello stesso cliente che attendevano la risposta e Alfonso con la poca attenzione che sapeva dare al suo lavoro e per una memoria renitente ai nomi, non sapeva che ci fossero. Alla sera gli venivano restituite da Sanneo delle lettere con l'annotazione: «E la lettera arrivata precedentemente? N.B. Signor Nitti». Il povero peccatore se ne andava da Sanneo a udire una grande predica sul disordine, la quale non lo migliorava perché non era la buona volontà che gli mancasse, era la capacità; il suo era un difetto organico.
      Quando ancora lo spingeva il primo zelo per il nuovo lavoro, la noia era minore. L'attenzione che doveva avere continua, per finire il maggior numero di lettere nel minor tempo possibile, l'intensità stessa del lavoro lo distraeva, lo stancava come se fosse stato lavoro meno meccanico.


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Una vita
di Italo Svevo
pagine 444

   





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