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      I desideri che lo coglievano con tanta rapidità altrettanto rapidamente lo abbandonavano; per dimenticarli gli bastava di venir scosso da un timore o da una fatica.
      Per certo tempo ogni sera correva dietro a qualche donna, ma soltanto a quelle ben vestite, perché l'oggetto dei suoi sogni era tutt'altro che pezzente e ad ogni corsa poteva illudersi di trovarlo. Questi conati all'amore avevano sempre il medesimo risultato. La sua timidezza vinceva i propositi fatti con la maggior risolutezza e bastava un gesto di ripulsa dell'aggredita od anche meno, lo sguardo indiscreto di qualche passante, per farlo desistere.
      Dovette però fare l'esperienza che non era soltanto la sua timidezza che gl'impediva l'amore, ma i suoi dubbi, le sue esitazioni, e persino quel suo ideale portato dal villaggio e cacciato in un canto ma non scomparso. Esso capitava fuori tutt'ad un tratto quando Alfonso lo aveva del tutto dimenticato e gli faceva disprezzare col suo splendore quella miserabile realtà che gli era concessa.
      Ebbe qualche avventura d'amore, ma non appena iniziata la soffocava con abbandoni bruschi per un risveglio della sua coscienza morale od anche semplicemente per non aver da sacrificare all'amore le ore di studio.
      Rammentò per parecchi anni con rimpianto Maria, una giovinetta dai capelli esattamente biondi, il colore puro dell'oro, una figurina diritta che non pareva accorgersi del peso del tanto metallo che portava in testa. L'affrontò una sera e audacissimo come sono tutti i timidi quando si costringono al coraggio, le fece subito una dichiarazione d'amore.


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Una vita
di Italo Svevo
pagine 444

   





Alfonso Maria