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      Scendeva in città quieto come in altri tempi non lo era stato che uscendo dalla biblioteca. Passava senza entrarvi accanto a Longera, un villaggio oblungo, già quasi a valle, il quale si stringeva al monte come se vi cercasse riparo, le sue casette ammonticchiate, quando facilmente avrebbe trovato aria e spazio invadendo i campi circostanti. Nelle strade del villaggio a quell'ora cominciava il formicolìo e da lontano si vedevano accennate tutte le esteriorità dell'attività e dei destini umani in quelle poche figure che si movevano per le stradicciuole del piccolo luogo. La rapida corsa di un giovinetto che Alfonso poté seguire da un lato all'altro del villaggio, l'uscita dalla sua casa di un contadino in cappello e che prima di muoversi, con tutta calma esaminava il cielo forse per sapere se dovesse prendere seco anche l'ombrello; in una stradicciuola più remota un uomo e una donna che cianciavano insieme forse già a quell'ora d'amore; in un cortile si batteva del grano e là c'era tanto movimento che da lontano poteva prendersi per allegria. Poi Alfonso passava per il ridente San Giovanni con le sue case sparse, la sua chiesuola bianca, di settimana vuota e abbandonata, di domenica tanto piena che tutti i devoti non ci capivano e le contadinelle vestite di lana nera marginata di larghe fascie di seta azzurra o rossa ingombravano il piccolo piazzale e facevano le loro devozioni all'aperto.
      Il nuovo metodo di vita di Alfonso era dannoso ai suoi studi perché il primo risultato del suo spesso aggirarsi all'aria aperta fu il bisogno di quest'aria e l'incapacità di rimanere a lungo in quella rinserrata.


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Una vita
di Italo Svevo
pagine 444

   





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