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      Per lungo tempo inutilmente tentò di ripigliare le letture alla biblioteca civica, magari lasciando per allora in disparte il suo lavoro filosofico. Una sera Sanneo lo sgridò per un errore da lui fatto. Per quanto dovesse riconoscere di meritare quei rimproveri, si irritò del modo, di una parola più brusca. Altre volte, se ne rammentava, si toglieva all'avvilimento in cui lo gettavano tali accidenti della vita d'impiegato, applicandosi con maggior fervore ai suoi studi che dovevano toglierlo alla sua posizione subalterna. Fu quel fatto che dopo lunga assenza lo portò di nuovo alla biblioteca.
      Si dedicò alla lettura di un giornale bibliografico italiano. La lingua non gli obbediva e bisognava darsi esclusivamente a letture italiane. Lesse per un'ora circa con attenzione spontanea, era effetto della brutalità di Sanneo, una discussione sull'autenticità di certe lettere del Petrarca e quando cessò rimase soddisfatto, rimpiangendo i tempi passati che la stanchezza del suo cervello gli ricordava, un rimpianto forte come se da allora la sua vita avesse mutato di molto.
      Quando alzò il capo si avvide che a lui dirimpetto sedeva Macario che lo fissava indeciso.
      — Il signor Nitti! — disse costui quasi domandandolo; doveva avere la memoria labile. Poi però gli porse amichevolmente la mano.
      Uscirono insieme.
      — Ci viene spesso? — chiese Macario occupato anche questa volta a raddrizzare il soprabito, una lunga mantellina grigia dai grandi bottoni d'osso.
      Alfonso con tutta disinvoltura rispose che veniva ogni sera e, tacitamente, si propose di fare in futuro della bugia una verità.


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Una vita
di Italo Svevo
pagine 444

   





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