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      Il lavoro letterario in mezzo a questi amori languiva ed era quello che più lusingava Alfonso, perché sembrava che anche per Annetta esso fosse divenuto cosa secondaria. Una sera avvenne che Alfonso portò del lavoro fatto e che Annetta si dimenticò di chiedergliene la lettura. In quanto procedeva però, era fatto del tutto secondo i propositi di Annetta e Alfonso sentiva ogni giorno chiarirsi più nullo il soggetto, più sciocco il romanzo. Pensava che aumentando la confidenza fra di loro sarebbe pur venuto il giorno in cui avrebbe potuto dirle la sua opinione, ma per il momento non osava neppur di esprimere il dubbio più lieve. Non voleva esporsi al pericolo di veder diminuita la luce che brillava negli occhi di Annetta quando lo guardava. Per lui quel romanzo aveva minima importanza e per esso non avrebbe acconsentito a udire neppure una parola brusca dall'amata.
      Venne strappato a quell'idillio non per suo volere e non per volere di Annetta; Macario glielo aveva creato senza saperlo, Miceni e Fumigi lo distrussero.
      Miceni era colui che più palesemente invidiava Alfonso per la sua famigliarità in casa Maller. Naturalmente non glielo aveva detto e come al solito Alfonso si rifiutava di ammetterlo anche quando Miceni col suo carattere bizzarro lo lasciava trasparire all'evidenza. Le piccole punture di Miceni non arrivavano a ferirlo neppure quando costui aveva cominciato col parlare di un suo amore per Annetta e pretendere che sarebbe stato corrisposto se egli ci avesse messo maggiore impegno.


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Una vita
di Italo Svevo
pagine 444

   





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