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      Costui era ancora l'unica persona della famiglia Lanucci che ad Alfonso non dispiacesse. Preferiva anzitutto la sua franchezza alla falsità degli altri, a quelle allusioni che pure per una o per altra ragione non erano disinteressate. Il carattere di Gustavo gli piaceva. Da lungo tempo il giovane Lanucci aveva cessato di lottare contro la propria poltroneria e per risparmiarsi i rimorsi l'aveva elevata a teoria. Così era divenuto tranquillo tanto, che a parlare con lui, vedendolo sempre quieto, contento di sé, senza dubbi, anche Alfonso trovava pace. Nei suoi lunghi riposi, Gustavo aveva fantasticato molto e il bisogno di denaro gli aveva dato delle idee originali e comiche. Il suo buon umore era inalterabile e non cedeva né alle sgridate dei cari genitori (non ometteva mai l'aggettivo), né ai rimproveri degli eventuali principali cui egli sempre attribuiva dei caratteri bizzarramente infelici: — Non sanno vivere! — diceva veramente sorpreso quando li vedeva adirarsi per un disordine in carte che avevano affidato alle sue cure oppure per qualche sua impertinenza. — Uomini che moriranno giovini — oppure: — Ecco un uomo che io non sposerei.
      Macario rimase assente per tutto il mese di marzo e Alfonso fece le sue passeggiate alla mattina con Gustavo il quale era mattiniero, unica buona abitudine a cui si fosse riusciti di costringerlo. Erano passeggiate brevi a un colle situato circa mezz'ora di cammino lontano dalla città. Giuntivi, Alfonso cercava l'ombra e si sedeva, mentre Gustavo si sdraiava al sole come un gatto, e per certe sue teorie igieniche apriva la bocca per farvi entrare luce e calore.


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Una vita
di Italo Svevo
pagine 444

   





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