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      Stava zitto per delle ore come Alfonso sebbene per tutt'altre ragioni. Teneva gli occhi chiusi e si addormentava definitivamente, o cadeva in una specie di nirvana in cui nulla comprendeva pur ancora balbettando delle parole senza senso. Quando aveva denari, e per pochi che fossero, non abbandonava la città, perché preferiva di dormire in qualche bottega di caffè o stare a guardare per delle intere giornate a giuocare a bigliardo. Non giuocava perché non amava agitarsi, e non si ubriacava che di rado perché dopo una sbornia rimaneva indisposto per molto tempo. Aveva amici sobri, lavoratori, operai delle diverse officine per le quali era passato. Lo amavano molto perché buffone e più anche perché non aveva giammai gareggiato con nessuno.
      Nell'ozio gli venne la buona idea di addossarsi volontario un lavoro che da prima non gli parve né difficile né faticoso: si propose di trovare il marito per la sorella. Diceva che l'età di Lucia domandava il matrimonio e ch'era certo che se nessuno se ne curasse lo sposatore non si sarebbe trovato giammai. Chiese ai genitori il permesso di poter condurre in casa dei giovanotti suoi amici. Il padre glielo diede pronto, perché per lui il matrimonio di Lucia avrebbe significato l'eliminazione di una bocca dalla casa. La madre invece si oppose ma era a magro di argomenti non avendo il coraggio di dire delle sue speranze su Alfonso. Si rosicchiava le unghie. Aveva parlato con disprezzo degli operai amici di Gustavo.
      — Non vuoi accordarla a un operaio?


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Una vita
di Italo Svevo
pagine 444

   





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