Si mise a ridere e con franca sensualità aggiunse:
— Avremo tanti giorni e tante notti da passare insieme.
Egli stette fuori a seguire gli sforzi ch'ella faceva per girare la chiave nella toppa; poi udì lo strisciare lento, impacciato delle pantofole sulle scale.
— Addio! — le gridò commosso.
— Addio, addio! — rispose Annetta a mezza voce.
Anche in quel saluto aveva messo quanto affetto le era stato possibile ed egli si figurò ch'ella gli avesse gettato dei baci con la mano.
Si diresse verso casa con passo frettoloso quando si sentì chiamare. Si volse. Una figura bianca, dalla finestra della stanza di Annetta, gli faceva segni di saluto con una pezzuola bianca. Egli salutò agitando alto il cappello. Il gesto era trovato, ma a lui mancava la sensazione corrispondente. Al vedere Annetta alla finestra s'era ricordato che così si usava in amore.
Poi volle sentirsi felice come la sua buona fortuna lo meritava e canticchiò un'arietta che non voleva riuscire allegra nelle vie vuote appena rischiarate da un sole invisibile nel cielo violaceo. Un malessere profondo lo fece tacere. Egli volle spiegarlo con i dubbî sull'avvenire della sua relazione con Annetta; da quella notte non ancora gli erano stati tolti. Ma Annetta era sua! Non era questo già molto, tanto che avrebbe dovuto sentirsi l'uomo più felice sulla terra? Egli aveva lungamente desiderato Annetta, l'aveva amata. Erano il sonno e la stanchezza che gli toglievano di godere della sua felicità e, salendo l'erta che conduceva alla casa dei Lanucci, egli andava persuadendosi che la dimane egli si sarebbe risvegliato all'amore e che avrebbe anelato di rivedere Annetta.
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