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      Scrisse la risposta con Santo in piedi accanto al tavolo e conservando, con sforzo, calmo il volto per non lasciar capire a costui che si trattava di tutt'altra cosa che della risposta ad un incarico ricevuto. Dovette coprire la sua lettera con altro foglio perché vide che Santo con tutta calma s'era levato in piedi e leggeva oltre la sua spalla. Vistosi scoperto, Santo non ebbe confusione di sorta e sedette sorridendo:
      — Non guardavo mica la lettera.
      Alfonso franco, senza rimorsi, aveva messo in testa alla lettera l'intestazione: «Amata sposa.» Poi: «Partirò!» esclamava col tono di chi si risolve a un sagrifizio. Partiva perché se anche per il premio che gli veniva riservato non trovava offensivo alcun eccesso del padre «che a ragione mi odia», — non sapeva quanta indifferenza oggettiva vi fosse in questa frase, — partiva perché non voleva che per questi eccessi soffrisse anche colei per cui voleva sopportarli.
      Gli parve di poter essere lieto di quel paio di frasi, ma rileggendo la lettera di Annetta dovette riconoscere ch'egli semplicemente aveva dimenticato di rispondervi. Annetta infatti gli comunicava che lo lasciava libero di partire o meno e egli le rispondeva che con grande suo dispiacere, perché ella glielo imponeva, sarebbe partito. Trovò poi che sarebbe stato obbligato a rispondere con maggior accuratezza e abilità a quella lettera. La sua risposta doveva finire col farlo considerare sciocco o indifferente ad onta delle frasi melodrammatiche, e, fatta a quel modo, non aveva scopo o lo sbagliava.


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Una vita
di Italo Svevo
pagine 444

   





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