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      Se ad Annetta ancora importava di studiare le lettere ch'ella riceveva da lui, facilmente con la sua intelligenza avrebbe compreso che Alfonso fingeva, e neppur prendendosi la cura di fingere abilmente. Questo fatto sarebbe dovuto spiacergli grandemente perché aveva tentato e sperato di riuscire a farsi credere lui il tradito, ma la sua indifferenza era tale che facilmente se ne consolò. Annetta non si sarebbe soffermata tanto a lungo a studiare quel biglietto.
      Fu svegliato dal vecchio Lanucci che volle accompagnarlo alla stazione. Il Lanucci si alzava sempre a quell'ora e a quanto egli stesso raccontava dormiva una piccolissima parte delle poche ore che passava a letto.
      Doveva essere circa la stessa ora a cui due notti innanzi egli era uscito dalla stanza di Annetta e quel chiarore mesto dell'aurora, quelle vie deserte in cui risonavano i loro passi, gli rammentavano la passeggiata ch'egli aveva fatta per rincasare tutto stupito non dell'avventura che gli era toccata, ma delle proprie strane sensazioni. Era giusto che una passeggiata ricordasse l'altra; questa era la conseguenza di quella. Il cielo non prometteva una buona giornata. Una nube nera pesava sulla città e l'aria tiepida rivelava lo scirocco.
      Il vecchio Lanucci andava consigliandolo sul modo che aveva da tenere per vendere la casa. Doveva dapprima fingere di non avere premura e di non essere venuto nel villaggio espressamente a questo scopo perché altrimenti sarebbe stato strozzato; la voce ch'egli volesse vendere la casa doveva venir sparsa con arte.


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Una vita
di Italo Svevo
pagine 444

   





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