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      — aveva detto un giorno ad Alfonso che nelle vacanze era venuto a casa con uno splendido certificato, — la fortuna che non ho avuto io l'avrai tu. — E Alfonso l'aveva creduto perché vedeva che i genitori, persone vecchie e d'esperienza, lo credevano.
      La madre lo aveva chiamato con un grido in cui egli aveva riconosciuto l'emozione della gioia e la debolezza della malattia.
      Volle gettarsi fra le sue braccia, ma, fatto un passo nella stanza, si trovò nella più profonda oscurità e non ebbe il coraggio di avanzarsi.
      Si sentì preso ruvidamente per un braccio e tratto a sinistra. Comprese che la madre si trovava in quel letto e da lì ella gli chiese balbettando:
      — Sei tu, Alfonso?
      — Stai meglio, mamma?
      — Sì, sì, molto. Apri la finestra, Giuseppina, acciocché lo vegga.
      La vecchia spalancò dapprima la finestra più lontana dal letto e nella penombra egli riconobbe il volto della madre che gli parve poco mutato. Giaceva supina, non lo guardava e mormorava delle parole a bassa voce. Egli fu spaventato credendola febbricitante e la chiamò.
      — Sono religiosa, — disse ella scotendosi, — non speravo più di rivederti e ringrazio chi fece che tu arrivassi tanto presto, — e lo attirò a sé sorridendo.
      Egli conosceva questa voce e questo modo. La gravità e la serietà tanto pronte a fondersi nella dolcezza e nello scherzo. E ancora una volta rivide la fisonomia del padre che pensava e parlava proprio così, mai tanto vicino a sorridere come quando il suo volto si atteggiava a grande serietà e la sua parola risonava pateticamente commossa.


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Una vita
di Italo Svevo
pagine 444

   





Alfonso Alfonso Alfonso Giuseppina