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      Quello non era nulla, gli spiegò, e non le dava sofferenze. Soffriva molto ai polmoni, non aveva aria a sufficienza. Era probabile che così si morisse. Trovandovisi tanto vicina, andava studiando il mistero della morte.
      Egli cercò di provarle che s'ingannava e avrebbe dovuto essergli facile trovandosi di fronte alla nozione tanto imperfetta della malattia, ma non sapeva mettere tutta la sua intelligenza a ingannarla. Ella moriva, questo era il doloroso, non ch'ella lo sapesse. Aveva compreso che non v'era più rimedio. S'informava ancora di altri sintomi sempre sperando di scoprire degli indizi di benignità. Invano; si trattava proprio di un organismo che andava in isfacelo. Ella aveva sofferto già da anni di disturbi nei quali un occhio esperto avrebbe forse riconosciuto la malattia organica che ne era causa. Anche quando si avvide di avere qualche poco di gonfiezze ai piedi non s'era rivolta al medico, un po' per ignoranza e molto per riguardo e per economia. Quando finalmente s'era consultata con lui, egli l'aveva fatta rimanere a letto; non s'era alzata più, dicendo che vi si sentiva meglio che in piedi e che le ripugnava di vestirsi per vedersi il corpo sfigurato a quel modo. Ora non poteva più moversi. Quello che non aveva fatto la malattia era stato compiuto dall'inerzia e dalla mancanza d'aria pura. In quella stanza si soffocava. Allorché per un istante erano state aperte le finestre, era giunto fino ad Alfonso un soffio dell'aria di fuori, balsamica in confronto a quella della stanza.


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Una vita
di Italo Svevo
pagine 444

   





Alfonso