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      Del resto incapace di rassegnarsi a quella situazione disperata, per quanto poco potesse ancora sperare, voleva pregare Prarchi di venire lui a curarla.
      Ma ella aveva la mente più solida del figliuolo. Gli proibì di far venire altri medici perché ella ne aveva a sufficienza di quello che veniva a trovarla. Voleva morire in pace, e, presa fra le sue una mano di Alfonso, se la portò alla guancia e per poggiarvi la testa, con sforzo immenso si gettò su un fianco. Poi pianse chetamente senza singhiozzi, celandosi gli occhi con una mano.
      Era proprio finita. Quale miracolo avrebbe più potuto regolare quel corpo che muovendosi gli si era rivelato informe del tutto?
      Giacché salvarla non si poteva più, egli fece dei tentativi per distrarla. Come se vi desse importanza le chiese quali medicine le fossero state date.
      — Dovrei prendere di quella, — gli rispose ella, — ma non ne voglio perché mi fa male. Dopo presa, oltre la difficoltà di respirare mi capitano giramenti di testa... qualche volta anche le convulsioni.
      Ella non aveva ancora liberi gli occhi dalle lagrime che alzò il capo con vivacità e con malizia, sorridente, gli chiese:
      — Diventi presto direttore? Come va alla banca?
      Appena allora entrò il notaio e disse anche d'essere stanco per la corsa che Alfonso gli aveva fatta fare. Il buon uomo invece aveva la respirazione calma e sulla sua fronte increspata e bassa non v'era traccia di sudore.
      Rimproverò e acerbamente Alfonso di aver fatto piangere la signora Carolina.
      — Ella è intelligente e dovrebbe capire che le può far male.


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Una vita
di Italo Svevo
pagine 444

   





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