— Ti sei seccato molto? — chiese la signora Carolina aprendo gli occhi verso sera. Nel debole chiarore del tramonto quegli occhi lucevano ridenti. Da lungo tempo non aveva dormito così bene e, dicendolo, per gratitudine, baciò le mani che Alfonso ora poteva ritirare.
— Chissà, forse potrò vivere ancora! — Doveva sentirsi meglio di molto per parlare così e non occorreva di più per dare grandi speranze ad Alfonso. La baciò lungamente sulla fronte e le disse che avrebbero sempre passato insieme la vita che loro rimaneva; identificava le sue alle condizioni della madre per fortificarla nelle sue illusioni. Neppure allora ella non aveva speranze tanto grandi. Dichiarò che non sperava più di poter correre, saltare, forse neppure uscire di casa; magari in letto, ma voleva vivere.
Cenò con lui che stava a guardarla estatico, meravigliato di vedersi svegliare in lei prontamente col desiderio la capacità di vivere. Volle non vedere nella fame svegliatasi improvvisamente nella madre che la naturale reazione di un organismo indebolito che vuole rifarsi, mentre la fretta con cui ella ingoiava il poco cibo che le riusciva di prendere dinotava piuttosto il vivo desiderio d'illudersi, la fretta di usare vantaggiosamente della tregua accordatale. Ben presto con ribrezzo volle allontanato l'apparecchio. Si stese nel letto e fu difficile capire se fosse veramente lieta di poter dire: — Da lungo tempo non ho mangiato tanto.
La Giuseppina annunziò la visita del medico, ciò che scosse la signora Nitti.
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Carolina Alfonso Alfonso Giuseppina Nitti
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