Le parole non sembravano irragionevoli. Perché abbandonando quei luoghi ella non avrebbe potuto lasciarvi la malattia?
Furono ben presto richiamati alla triste realtà. Per un quarto d'ora alla signora Carolina riuscì di celare che si sentiva male. Alle domande di Alfonso, il quale della sua inquietezza s'era avvisto, ella rispondeva che stava bene quantunque agitata. Volle anche reagire. Premeva una mano di Alfonso come se in quella stretta cercasse sollievo e teneva chiusi gli occhi avvertendo che voleva dormire. Ma questa resistenza durò poco e con un grido di dolore si levò a sedere.
— Non ne posso più! — mormorò sordamente. Aveva il respiro frequente e breve. — Fin qui, — disse accennando a un punto del petto, — l'aria non giunge più oltre. — Da questa espressione soltanto egli comprese che cosa ella sentisse.
Come ella volle, l'aiutò ad alzarsi dal letto e sedere su un seggiolone comodo su cui il vecchio Nitti aveva passato parecchie ore d'ozio all'aria aperta e che ora era accanto al letto, destinato proprio a ricettare l'ammalata nelle sue ore peggiori. La coprì, mentre livida, coperta da un sudore freddo, ella abbandonava la testa sullo schienale; apparentemente non vedeva ciò ch'egli andava facendo. Di tempo in tempo dava un grido con voce alterata, o anche, con sommo sforzo, esprimeva qualche parola con la quale si lagnava o imprecava.
Per parlargli ella non trovava tanta voce quanto per lagnarsi. Due volte egli non comprese che cosa ella gli chiedesse. Voleva aria, voleva ch'egli aprisse la finestra e, dopo compreso, avendo egli esitato temendo per essa del freddo, esasperata con un'occhiata di risentimento, ella mormorò:
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Carolina Alfonso Alfonso Nitti
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