Egli raccomandò a Giuseppina, che trovò già occupata di nuovo nell'orto, di badare alla madre ed ella glielo promise. Le parlò con dolcezza. Già spaventata al vederlo, la contadina s'era affrettata a raccontargli che stava raccogliendo erbaggi per il pranzo. Ella non era una poltrona, ma preferiva lavorare la terra che servire un'ammalata, e il torto era di chi l'aveva destinata a infermiera.
La casa stranamente volgeva uno dei lati alla strada maestra ed era unita a questa da un viottolo costruito dal piede dei passanti.
La campagna era ancora bianca dalla brina che il sole autunnale non aveva saputo sciogliere. Visto da quel punto, il villaggio sembrava molto più insignificante di quanto fosse; pareva composto di due semplici file di case. Una curva della strada maestra nascondeva la parte meno regolare ma più popolata. Dalla parte della valle v'era ancora una via della lunghezza di metà della principale a cui era parallela e poi, addossato a quella, un mucchio disordinato di casette sucide ove abitava la parte più povera della popolazione. Nel suo piccolo, il villaggio aveva in embrione tutte le sezioni della città.
Alfonso si agitò e accelerò il passo vedendo alla finestra la testa nera di Rosina, il suo primo amore. Non l'amava più, questo era certo, ma quale dolce e giocondo sentimento al rivederla!
Era una giovinetta che serviva la vecchia parente presso la quale abitava, ma in casa aveva tanto poco da fare che viveva come una signorina, meglio di qualunque altra ragazza del villaggio.
| |
Giuseppina Rosina
|