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      L'intelligenza di Creglingi era stata poco sviluppata o meglio soffocata dal lavoro manuale. Mai Alfonso si sarebbe risolto a tagliare quella relazione conservando un culto superstizioso alle memorie della sua prima giovinezza. Ebbe qualche avvilimento al vedersi lui respinto. Creglingi era il possessore di due o tre idee in tutto e dovevano servirgli per tutta la vita e Alfonso lo aveva sopportato per una certa simpatia per la forza e risolutezza che scorgeva in lui.
      Gli parve che i tre uomini ridessero discretamente di lui. Il sangue gli salì alla testa e, voltatosi, era in procinto di dire loro qualche insolenza, ma essi camminavano quieti uno accanto all'altro, Creglingi in mezzo con la testa bassa. Dubitò di avere inteso male. Poi comprese che il riso dei contadini era stato provocato dalla scappellata ch'egli s'era creduto in dovere di dare loro ad uso cittadino.
      «Imbecilli!» pensò per tranquillarsi, «all'occasione spiegherò loro lo scopo di tale gesto.»
      Era trascorso il mese di permesso e all'ultimo giorno egli si rammentò di chiederne la prolungazione scrivendo direttamente a Cellani una lettera affettuosa in cui ringraziava per la pazienza che fino ad allora si era avuta con lui e chiedeva addirittura un altro mese di libertà. Aveva l'intimo convincimento che quindici giorni sarebbero bastati, ma, visto che non si potevano sperare migliorie nello stato della signora Carolina, non volle mettere in iscritto un termine troppo breve quasi il desiderio di vederne abbreviata la vita.


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Una vita
di Italo Svevo
pagine 444

   





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