Giaceva nel suo letto, a casa, nello stanzone bene arieggiato e il sole d'estate entrava da una delle finestre aperte. Era convalescente di una lunga malattia e debole tanto che non gli riusciva di spostare le coperte che gli opprimevano il petto. Ma questo era l'unico disturbo, perché del resto si sentiva lieto, allegro. Fissava il fascio di luce che illuminava un'immensità di corpuscoli sospesi nell'aria, una nebbia leggiera che il sole scopre nell'atmosfera più pura. Era lieto perché sapeva che di là a pochi giorni gli sarebbe stato permesso di uscire all'aria e al sole. Era lieto perché nella cucina vicina sentiva moversi la madre giovine ancora e la quale canticchiava lavorando per lui. Di là gli giungeva il suono monotono che la madre produceva pestando della carne con un coltello, ma nelle orecchie aveva un altro rumore monotono, un ronzìo dolce, una nota tenuta che lo addormentava.
Doveva essere entrato qualcuno nel piccolo corridoio perché sulle pietre sentiva il suono di un piccolo piede e il fruscio di una veste. Proprio dinanzi alla sua porta risonò una dolce voce di donna: — Come sta Alfonso? — Per quanto dolce diveniva disaggradevole quella voce perché si ripeteva e risonava in tutti i vuoti della grande casa. Di chi era che gli sembrava notissima? La mise in relazione con tutte le voci di donna che conosceva e con nessuna s'accordava. — Ah! sì! Francesca! — e lo colse un profondo malessere e pensò: — Se s'è stabilita nel villaggio ruberà la quiete a tutti i suoi abitanti.
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Alfonso
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