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      V'erano i conti del farmacista, la maggior parte, quantunque tutti insieme non arrivassero a formare oltre qualche centinaio di franchi, poi una ricevuta di Giuseppina per una somma che Alfonso non trovò superiore a quella ch'ella poteva credere di aver meritata, una ricevuta di Frontini per un importo che avrebbe fatto sorridere dal disprezzo il più misero mediconzolo della città. Ultimo un piccolo bollettino di Mascotti che doveva giustificare la mancanza del resto, ben più della metà. V'erano due parole in matita delle quali Alfonso non seppe decifrare che una: «Tutela» e poi la cifra.
      Parve che il contegno di Alfonso fosse piaciuto a Mascotti perché, senz'esserne stato invitato, volle accompagnarlo nella visita che, prima di partire, Alfonso fece al cimitero:
      — Lasciarla solo in quel luogo, col suo dolore? Non ne ho la coscienza!
      La sua presenza contribuì a togliere ad Alfonso la commozione. L'aveva attesa e fu sorpreso di non venirne colto. Stava là immobile dinanzi al monticello di terra nuda, la tomba della madre, mancante ancora del sasso ch'era stato commesso, e si trovò tanto freddo che cercò di scusarsi verso se stesso. Che cosa v'era là sotto? Un corpo distrutto che forse non portava più neppure la traccia di chi lo aveva abitato. Questo chi, anima o forza occulta, la fede dei filosofi, non era in quella tomba.
      Il cimitero era disposto come un altro campo qualunque, recintato da un muro. Le tombe, per la maggior parte fornite di piccole croci di pietra, erano disposte regolarmente una dietro all'altra con le iscrizioni verso la strada maestra cui il cimitero volgeva uno dei lati più corti.


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Una vita
di Italo Svevo
pagine 444

   





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