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      Anche cessato di lavorare, si sentiva più tranquillo che alla mattina. Poteva presentare a Sanneo un enorme pacco di lettere risposte e contava almeno sulla sua riconoscenza.
      Infatti Sanneo fu molto cortese con lui. Dovette fargli qualche osservazione sul modo onde era concepita una o l'altra di quelle lettere, ma ragionava con dolcezza e non gridava, interpolando parole di lode alle poche di biasimo. Per qualche istante Alfonso ne fu veramente felice; erano le prime parole buone che udiva alla banca dopo il suo ritorno.
      Ma giunto all'aperto, là ove di solito faceva quel piccolo sforzo di volontà per dirigersi verso la biblioteca civica, sentì con terribile evidenza la disgrazia della sua posizione. Quale importanza poteva avere la simpatia di Sanneo in confronto all'odio immenso che doveva essersi scatenato contro di lui più in alto? Non bastava lavorare molto e con intelligenza per diminuire quell'odio. Disse a se stesso che l'unica via per sottrarsene era dimettersi dal suo posto, ma non sentì così. Era quell'odio e quel disprezzo che gli dispiacevano, non il timore delle persecuzioni che gliene sarebbero derivate. Un'altra volta ancora non fu sincero con se stesso e non giunse ad essere perfettamente conscio della vera ragione per cui non abbandonava l'impiego. Non si disse che l'unica sua speranza era di poter attenuare quell'odio e farsi stimare da chi lo disprezzava, ma voleva convincersi che rimaneva da Maller perché ancora non sapeva se quell'odio si sarebbe manifestato e di più se realmente sussistesse.


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Una vita
di Italo Svevo
pagine 444

   





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