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      Gli parve che un'altra volta ancora si aprisse la porta della sua stanza o che Gustavo lo chiamasse ma a bassa voce, evidentemente soltanto per accertarsi ch'egli dormiva.
      Non rispose, incapace di scotersi.
      Alfonso si alzò rinfrescato dal sonno. Sapeva ora molto bene che la sera innanzi aveva assistito a una scena reale, ma non ne aveva afferrato i particolari in modo da poter comprendere quale importanza dovesse dare ai dubbi che Gustavo aveva avuto tanta fretta di comunicargli. Certo il suono della voce di Lucia non era stato quello di una colpevole e ad Alfonso bastò per credere nella perfetta sua innocenza. Non appena desto, era stato riafferrato dalle sue preoccupazioni e non poteva rivolgere tutta la sua intelligenza a studiare dei fatti che direttamente non lo riguardavano.
      In tinello non trovò che Gustavo il quale a sorsellini beveva il suo caffè.
      — Scusa sai se ieri a sera non stetti ad ascoltarti, — gli disse con franchezza, — ero tanto stanco che mi addormentai mentre tu mi parlavi e neppure prima d'addormentarmi non arrivai a comprendere nulla. Che cosa volevi dirmi?
      Gustavo alzò gli occhi dalla scodella e gli gettò una occhiata diffidente.
      — Tanto meglio, — gli disse, — io ero un po' brillo e chissà quello che ti dissi.
      Non era vero che fosse stato ubbriaco, ma Alfonso non pensò di cercare la ragione per cui gli veniva detta una menzogna. Forse, era l'interpretazione più benigna, Gustavo mentiva per iscusarsi di aver detto e pensato cose non vere.
     
     
      XVIII
     
      Alla banca, passando il corridoio per recarsi alla sua stanza, Alfonso provò la stessa acuta sensazione di malessere del giorno innanzi.


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Una vita
di Italo Svevo
pagine 444

   





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