Per completare la sua felicità, Rultini non desiderava che di fare la pace col suo vecchio amico e gli gettava degli sguardi amorevoli, ma Ciappi faceva il sordo e lo trattava con una freddezza glaciale. Anche quando era costretto a parlargli per affari d'ufficio, non lo guardava in faccia.
— Ah! così? Adesso che mi ha ammazzato vuole la mia amicizia?
Rultini confessò a Marlucci ch'era pentito di aver questionato con Ciappi, ma che però in lui l'ira era stata giustificabile, perché se Ciappi fosse stato il preferito sarebbe stata un'ingiustizia palese. Ciappi non aveva alcun diritto di serbargli rancore.
— Che mi ceda il suo posto e la sua paga e naturalmente anche la sua scienza acciocché io mi possa sentire idoneo al suo posto e felice, ed io sono dispostissimo a lasciarlo andare in vece mia a Venezia.
Anche queste espressioni vennero riferite a Ciappi.
— Dargli la mia scienza e la mia pratica? Se non fosse stato sempre tale un poltrone se le sarebbe conquistate da sé. Vi garantisco io che, per quanto poco si richieda da lui a quel posto, sarà sempre troppo, e, se Maller non sarà pronto a porvi riparo, un bel giorno apprenderà che la sua filiale, contrariamente al suo volere, avrà fatto un atto indipendente; sarà fallita per proprio conto.
Maller riseppe di quest'odio e lo credette anche maggiore di quanto realmente fosse. Per prudenza fece partire Rultini una settimana prima dell'epoca stabilita.
Rultini andò alla stazione accompagnato trionfalmente dagl'impiegati più anziani, compresi Marlucci e Sanneo.
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