Fu per Antonio una sventura perché con questo licenziamento diminuiva il suo emolumento senza perciò diminuire sensibilmente il suo lavoro. Gl'impiegati della cassa, alla quale era addetto, per riguardo a Cellani lo avevano fatto lavorare poco, mentre ora venne di nuovo costretto a correre per la città, a riscuotere e a pagare. Di più, sapendolo unicamente al servizio della cassa, quando agli altri uffici occorreva un maggior numero di fanti, si chiese più di spesso al cassiere il permesso di servirsi di Antonio.
Raccontò egli stesso la sua sventura ad Alfonso. Sanneo faceva trasportare in corrispondenza il deposito di carta che fino allora era stato conservato nelle stanze della contabilità e del trasporto vennero incaricati Antonio, Santo e Giacomo. Ben presto questi due ultimi se ne andarono perché sul corridoio aveva suonato più volte il campanello elettrico. Non ritornarono più e Antonio sbuffò per due ore a trascinare pacchi di carta compressa che pesavano, diceva, come piombo.
— Ella non è più al servizio del signor Cellani? — gli chiese Alfonso.
— Come, non lo sapeva? — chiese Antonio stupefatto che non tutti sapessero della sua disgrazia. — Ho rovesciato una tazza di tè e il signor Cellani non me la perdonò più! — Non confessava che aveva perduto il posto per la sua lentezza al lavoro. Poi però non volle risparmiare a Giacomo i rimproveri che in realtà meritava: — Se non ci fosse stato quel maledetto ragazzo che si cacciò innanzi e che mi calunniò presso il signor Cellani, a quest'ora sarei ancora al mio posto.
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