— Da quell'imbecille di Federico per esempio.
Il fratello di Annetta era ritornato in città da due mesi e non faceva altro che passeggiare per le vie vestito all'ultima moda di Parigi con una giacca larga e corta e i calzoni stretti che svelavano le forme stecchite delle sue gambe. Alfonso non lo aveva ancora visto.
Attraversarono la prima stanza del caffè, un bel locale ma con le tappezzerie ordinarie in colori vivaci non ancora abbrunati dal tempo. Per una piccola porta mascherata da una tenda verde entrarono nell'altra stanza oblunga che bastava al bigliardo e al posto per giuocarvi.
Non v'era che Fumigi seduto accanto ad una finestra e leggendo un giornale con tale attenzione che non s'accorse dei nuovi venuti. Soltanto allorché Prarchi gli toccò la spalla egli si volse senza fretta e esaminò a lungo prima Prarchi e poi Alfonso con un sorriso da ebete soltanto perché continuo e senza causa, mentre del resto era il sorriso solito di Fumigi alquanto inerte e pallido. Il volto era più scarno, ma la figurina, almeno vista seduta, sembrava non aver perduto nulla della sua dirittezza. Masticava e Alfonso credette che avesse qualche cosa in bocca; li guardava e parve volesse parlare, ma poi dimenticò la loro presenza e volle rimettersi a leggere con premura convulsa.
— Signor Fumigi! — disse Prarchi ad alta voce e scotendolo, — non riconosce questo signore?
Fumigi guardò a lungo Alfonso e dava ad ogni tratto un piccolo grido di sorpresa credendo di riconoscerlo; poi si ricredeva. Si risolse:
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